GALLERIA D'ARTE STUDIO 71
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ANTONELLA AFFRONTI
 
 
UNA PRESENZA COSTRUTTIVA
mostra d'arte contemporanea promossa da Italcementi group

 

DAL 15 AL 26 FEBBRAIO 2008

 
CENTRO CULTURALE BIOTOS
SpazioBquadro

MARCO BONAFE'

 

Venerdì 15 febbraio 2008 alle ore 16.30 presso lo Spazio D’arte B Quadro Via XII Gennaio n. 2 Palermo, verrà inaugurata la mostra collettiva promossa dall’Italcementi:

Una presenza costruttiva

Saranno esposte opere degli artisti: Antonella Affronti, Marco Bonafè, Aurelio Caruso, Bartolo Conciauro, Tanina Cuccia, Michele Cutaia, Giuseppe Fell, Rosalba Mangione, Alessandro Monti, Antonino G. Perricone, Massimo Piazza, Salvatore Provino, Vanni Quadrio, Turi Sottile, Enzo Tardia, Gianni Maria Tessari, Tiziana Viola Massa, nonché i progetti presentati dagli artisti del “Gruppo di Caltanissetta”: Calogero Barba, Lillo Giuliana, Michele Lambo, Giuseppina Riggi, Salvatore Salamone, Franco Spena e Agostino Tulumello.

La mostra sarà preceduta dalla conferenza stampa nella quale sarà illustrata agli intervenuti, da Giovanni La Maestra per l’Italcementi e dai critici d’arte Aldo Gerbino e Vinny Scorsone, la pubblicazione edita, in occasione del compimento del 50° anniversario dell’avviamento dello stabilimento di Isola delle Femmine, dall’Associazione culturale Studio 71 di Palermo con il contributo dell’Italcementi Group.

Le opere saranno esposte fino al 26 febbraio 2008 con orari dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.30 alle 19.30 tutti i giorni, domenica dalle 10.00 alle 13.00

IL RESPIRO DEL LAVORO
di Vinny Scorsone

Non ricordo quando vidi, per la prima volta, l’Italcementi di Isola delle Femmine: è passato troppo tempo e io ero troppo piccola. Ricordo le ciminiere, gli uffici degli amministrativi, ma poi più nulla.
L’Italcementi… anzi la cementeria (quando l’ho conosciuta io aveva il nome di “Cementerie Siciliane”); sono anni che la vedo, che varco la portineria, entro negli uffici e ogni tanto (in occasione di particolari eventi) faccio un giro per gli impianti che le permettono di funzionare.
È un mondo a sé, quello della fabbrica. Guardarla dal di fuori certamente non permette a nessuno di capire ciò che in essa è contenuto e come lavori: bisogna fare un giro al suo interno e io l’ho fatto, ancora una volta.
Contrariamente a quanto si possa credere, al suo interno tanti sono i posti affascinanti che offrono spunti per emozionarsi e per creare opere artistiche. Uno di questi posti è il mulino del crudo 3. Chissà cosa avrebbero detto Edmund Burke o Immanuel Kant sotto di esso. Per quello che mi riguarda una sola parola si è affacciata alla mia mente quando mi sono trovata, per la prima volta, alla presenza del gigantesco cilindro orizzontale che ruotava su se stesso e sentivo martellare in maniera ossessiva, con il suono delle sue sfere macinatrici, le mie orecchie: sublime!
Sotto il mulino il rumore è assordante e la polvere si insinua nel tuo corpo, si infiltra nel tuo naso, ma sei come ipnotizzato; certo non parlo dei lavoratori che con esso hanno a che fare tutto il giorno (ovviamente con tutte le precauzioni del caso come tappi per le orecchie, cuffie, elmetti e maschere), ma il visitatore occasionale non può rimanere indifferente davanti a tale dimostrazione di forza e potenza. Ci si sente piccoli, lì sotto, indifesi e si vive una battaglia interna fatta di voglia di scappare e desiderio fortissimo di rimanere avvolti nella bolla atemporale di quel rumore assordante. E dire che io non sopporto i rumori o la musica ad alto volume ma il suono prodotto da tutte quelle sfere interne è qualcosa di diverso: è come se tutto l’organismo, palpabile e impalpabile, girasse con esso, nello stesso senso di marcia. Una sorta di maelstrom letterario dell’anima e dei sensi capace di affondare e riportare a galla ogni cosa: una centrifuga di linfa vitale.
Uscendo dal capannone dove è custodito il mulino si ha la stessa sensazione che si prova dopo aver fatto un giro sulle giostre del luna park: scombussolati ma felici.
Fuori, improvvisamente, tutto sembra più tranquillo.
Il grigio dei muri e delle svettanti ciminiere, l’azzurro dei tubi e degli impianti e il verde degli eucalipti, che crescono rigogliosi all’interno dello stabilimento, si stagliano contro un cielo di un azzurro intenso dando una sensazione di quiete.
Continuo a camminare per la fabbrica, sotto un sole cocente, sotto il cilindro orizzontale del forno più cocente del sole stesso. Quel tratto si fa sempre velocemente.
A un centinaio di metri di distanza dal capannone del crudo 3, infatti, il forno mi accoglie in maniera brusca; sembra quasi che dica: “Cosa vuoi da me? Sbrigati a fare quello che devi perché io ho fretta e non posso perdere tempo con te”. La temperatura è elevatissima. Sembra quasi che il dio Vulcano abbia lì il suo antro. È un cuore che pulsa fremente, un dio imprigionato nella materia che tenta di liberarsi e scappare via. Anche il suono del fuoco sconvolge. Manca l’aria avvicinandosi al suo sportello.
Scappo, mi ritraggo da esso e cerco un po’ d’ossigeno.
Continuo il mio giro.
È grande la cementeria! Un paese in un paese fatto di officine, laboratori chimici, centrali di controllo dove ogni giorno lavorano tante persone. A quest’ora (saranno circa le 18.00), però, tutto è tranquillo. Gli operai li trovi solo all’insacco e al palettizzatore e qualche impiegato agli uffici amministrativi o in sala centralizzata. I camion, invece, continuano ad entrare ed uscire dalla fabbrica (e lo faranno fino alle 22.00), a sostare nel piazzale con i loro autisti stanchi per il lungo turno fatto per poter effettuare il loro carico.
Ora percorro un lungo e stretto corridoio che mi ricorda tanto le gallerie che portano alle cave di marmo nelle Alpi Apuane (solo che qui il passaggio è pedonale e il pavimento è di linoleum verde) e sono fuori, ritornata alla portineria che tanto bene conosco.
Cinquant’anni! Quest’anno la cementeria di Isola compie cinquant’anni e il tempo sembra quasi essere volato. Ho conosciuto tante persone che in essa hanno lavorato e tante ne conosco che lì continuano a lavorare.
Lo stabilimento di Isola è sempre stata una costante della mia vita eppure ancora mi piace sbirciare tra i suoi “motori”.
Per celebrare questo compleanno la dirigenza, sempre attenta anche agli aspetti culturali di questa nostra società (ricordiamo la realizzazione del Cretto di Alberto Burri a Ghibellina e la chiesa Dives in misericordia a Roma di Richard Meier), ha pensato di accettare il progetto della galleria Studio 71 di Palermo e del prof. Aldo Gerbino per la realizzazione di una pubblicazione che vede coinvolti artisti e scrittori.
Suggestionati dalla struttura della fabbrica, dai suoi impianti, dalle sue alte ciminiere, dai suoi colori, dal suo prodotto e dal contesto ambientale e urbano nel quale essa è calata, 17 artisti hanno dato vita a 34 opere pittoriche.
Lo stabilimento di Isola nei quadri è diventato ora freddo agglomerato di lamiere e cemento, ora forza esplosiva fatta di materia e uomini.
Ognuno di loro ha scelto un approccio ed un aspetto diverso.
C’è chi ha preferito ritrarla dal di fuori, come semplice passante errante accanto alle sue mura, chi, invece, ne ha narrato il cuore, l’interno “misterioso”. Chi, altresì ha creato visioni poetiche e chi ha dato luogo ad immagini astratte.
Fredde, glaciali sembrano essere le visioni di Bartolo Conciauro. Nelle sue opere l’azzurro intenso descrive i passaggi, gli squarci, i corridoi della fabbrica donandole un aspetto un po’ triste e vagamente inquietante. Di diversa emozione, invece, sono i quadri di Antonella Affronti. Ella ha riversato sulle strutture il fuoco della vita. Come percorsi da linfa vitale, i tubi in ferro si tingono di rosso facendosi spazio tra freddi grigi e azzurri e donando all’opera un’interessante composizione costruttiva. Marco Bonafè, invece, ha descritto la fabbrica quasi come se fosse una sorta di reperto, una testimonianza di archeologia industriale dove anche gli alberi, modificatisi per effetto del tempo e del luogo, hanno cominciato a crescere in essa divenendo parte della struttura stessa. Altro artista che si è dedicato alla rappresentazione della fabbrica è Vanni Quadrio. Tramogge, tubi e ciminiere sono gli elementi principali dei suoi lavori; tutto sembra essere bloccato nel tempo, avvolto da una impalpabile nuvola di polvere. Totalmente differenti sono invece i lavori realizzati da Massimo Piazza. Egli privilegia l’immagine poetica del territorio in cui essa è calata (l’isolotto, il mare, il verde) tracciandone un quadro sommario e ponendo in primo piano principalmente l’aspetto umano: la fabbrica pensata come luogo di lavoro capace di garantire un futuro alle famiglie. Di diversa natura sono i quadri di Enzo Tardia. Quasi fossero la schermata di uno dei primi videogiochi, essi sembrano grafici, disegni schematici di un luogo asettico e privo di gente, un circuito elettrico fatto di colori piatti e linee intersecanti. Gianni Maria Tessari, invece, pur descrivendo la fabbrica dall’esterno, con tutte le caratteristiche comuni anche ad altre industrie, ne da una visione tutt’altro che banale. Tra fredde ciminiere e schematici palazzi, in cui l’uomo è ridotto ad una semplice ombra, egli traccia lettere colorate e incomprensibile trasmettendo un messaggio vitale contrapposto al grigiore della vita quotidiana. Molto più viscerali sono le opere di Tiziana Viola Massa che si lascia incantare dalle fiamme del forno, quasi fosse un sole in procinto di esplodere. Materia su materia per descrivere un ambiente lavorativo fatto di uomini e di forze ancestrali, cumuli di materiali e carne. Al forno sono anche dedicate le opere di Antonino G. Perricone. Un forno vivo fatto di lingue luminose e incandescenti, ma anche di incrostazioni dovute al tempo e all’usura. Frammenti di pietra incandescente si liquefanno tra le sue pareti sprigionando fiamme e calore. La sala centralizzata, con il suo carico umano, e il lavoro quotidiano dei muratori sono i temi trattati da Michele Cutaia. Tutto è illustrato in maniera molto fredda (più grafica che pittorica) e distaccata, sia nelle linee che nei colori, quasi a sottolineare l’aspetto elettronico e meccanico che fa girare l’intero cementificio. Giuseppe Fell, invece, si è dedicato alla descrizione della fabbrica, fatta di un cuore pulsante che attraversa il tempo e la notte. La sua visione ricorda molto l’antro di una strega. La pittura di Fell potrebbe essere definita, per il soggetto e il modo di rappresentarlo, “industriale” fatta di colori scuri e tetri. Lo stabilimento è anche il tema affrontato, nei suoi quadri, da Aurelio Caruso. Avvolta in toni grigio-cemento la fabbrica si presenta come un luogo ombroso e triste su cui la bianca luna veglia fredda e impassibile; un luogo surreale, ma plausibilmente reale, fatto di capannoni e persone, di grigio e poesia. Trasparenti e sfuggenti, pieni di carica emotiva e vitale sono invece i lavori di Turi Sottile. I segni tracciati sul supporto corrono veloci e senza sosta come continuo e senza sosta è il processo di lavorazione del cemento; una produzione che intreccia i vari impianti di produzione e di stoccaggio. Completamente diversi da quelli dei suoi colleghi sono i lavori prodotti da Rosalba Mangione. Sulle sue tele si intrecciano personaggi e vita quotidiana, lavoro e “brandelli” umani, stratificazioni temporali e affioramenti sensoriali.
Fedele al suo modo di creare, nelle sue opere Tanina Cuccia si avvale del cemento come materiale di lavoro per produrre una moderna icona. Non la fabbrica, quindi, ma il suo prodotto segnato e illuminato da frammenti divini intrappolati nel grigio e nella durata del cemento stesso. Altro artista che col cemento ha lavorato è Alessandro Monti. Le sue opere sono vere e proprie costruzioni. Partendo da uno strato di calcestruzzo Monti modella il cemento, lo scava rendendolo, con cromie e grane tipiche del materiale, messaggero di antiche identità culturali. Salvatore Provino, invece, si è lasciato affascinare dall’aspetto più intimo, più viscerale dell’intero processo produttivo: l’estrazione. All’interno della cava le macchine scavano e creano voragini. La potenza si espande e rompe la roccia rilasciando magnetiche auree che pervadono ogni spazio creato.
Diciassette visioni differenti con un unico intento: tracciare una mappa emotiva scaturita dalla visione di ciò che, comunemente, è considerato un freddo luogo di lavoro; un modo per avvicinare la fabbrica all’arte ma soprattutto per avvicinare alla fabbrica la gente sempre più diffidente e gli artisti facendo scoprire loro un luogo dalle dinamiche e dai macchinari affascinanti.

Isola delle femmine, ottobre 2007

AURELIO CARUSO

BARTOLO CONCIAURO

TANINA CUCCIA

MICHELE CUTAIA

GIUSEPPE FELL

ROSALBA MANGIONE

ALESSANDRO MONTI

ANTONINO G. PERRICONE

MASSIMO PIAZZA

SALVATORE PROVINO

VANNI QUADRIO

TURI SOTTILE

ENZO TARDIA

GIANNI MARIA TESSARI

TIZIANA VIOLA MASSA