Da sabato 23
giugno al 21 luglio 2012, presso la galleria Amaracrista a San Giovanni
La Punta CT, sarà possibile visitare la mosta:
VISITARE LA PAROLA
a cura di Vinny Scorsone
Catalogo in galleria
La mostra è visitabile per appuntamento
Tel. 095 7178155 - 338 5078352
www.fondazionelaverdelamalfa.com laverde.elena@libero.it
Elena scriveva in fretta. Aveva paura di lasciarsi sfuggire le parole,
di percepirne il dissolvimento qualora avesse impiegato troppo tempo
a fissarle sul foglio, nel foglio. Elena guardava e capiva. L’inchiostro,
come un virus, toccava la carta, ne diveniva parte inscindibile, si
intrufolava tra le fibre porose e vi si attaccava. Il foglio, allora,
imprigionava lettere e parole e le parole non potevano più scappare.
Davanti ai suoi occhi anche quel giorno era iniziata una lotta, un amore
tormentato fatto di catene e di vincoli vitali. Le parole si appropriavano
del supporto e se ne alimentavano. Erano come spermatozoi alla ricerca
del proprio ovulo da fecondare e l’inchiostro diveniva, in questo
modo, il loro liquido seminale, il sensale di uno strano matrimonio
tra immateriale e sensibile. Nello stesso momento il foglio da carceriere,
si faceva culla, incubatrice, capsula del tempo che avrebbe permesso
alle parole di perdurare negli anni e in questa lotta per la sopravvivenza
lei rivedeva la sua vita.
Elena guardava la pagina su cui si distendevano i segni inchiostrati
di una poesia interrotta.
Si era distratta, aveva inseguito altri pensieri e le parole erano andate
via: chissà se le avrebbe più ritrovate per quel giorno?
Aveva bisogno di una pausa.
Prese il suo bastone ed uscì in giardino.
Oltrepassò “Il cammino dell’uomo”, poi “C’era
una volta”. “Le grandi forbici” la stavano aspettando.
Elena salutò ogni sua creatura. Le installazioni del Parco dell’Arte
erano silenziose. Quante volte aveva percorso quel viale. In galleria
la sua “Amaracrista” le sembrò offesa, forse si sentiva
sola anche lei.
Le parole l’avevano seguita fino a lì: non la lasciavano
mai, ma si divertivano a nascondersi.
Aprì le porte della galleria. Le parole allora si liberarono
dai suoi pensieri e si posarono sulle pareti.
I segni presero forma nota, divennero curve sinuose di un corpo, vibrazioni
musicali, libro, frastuono, formula magica, totem, graffio, testimonianza,
ponte tra un passato e un futuro lontani.
Elena sorrise. Si era fatto troppo tardi.
Chiuse tutto e si avviò verso casa. Le parole si attardarono:
avevano ancora voglia di giocare, di trasformarsi un po’ prima
di dissolversi.
Elena non si preoccupò, lasciò che si divertissero poiché
sapeva che l’avrebbero raggiunta presto.
A casa l’attendeva una poesia da completare: le parole, quel giorno,
avrebbero dovuto lavorare ancora prima di riposare. Elena si sedette
e attese il loro arrivo.
Le parole sfuggono continuamente. Che siano concetti,
nomi e quant’altro la diversificazione tra significante e significato
è in questa sede quella che più ci interessa. In pittura,
infatti, più che sulla parola (indagata approfonditamente sin
dall’antichità da tanti filosofi, uno tra tutti Platone)
è necessario concentrarsi sul suo significante cioè il
suo aspetto visibile. Poiché, difatti, la parola è immateriale
gli artisti, per esplorarla, devono necessariamente renderla visibile
attraverso segni grafici.
La mostra “Visitare la parola” è in realtà
un’indagine, più che sulle parole, sulla scrittura che
le manifesta.
Tanina Cuccia, Filli Cusenza, Giuseppe della Ventura, Giovanni Iudice,
Franco Nocera, Enzo Patti, Salvatore Pizzo, Alfredo Rapetti, Giuseppina
Riggi, Franco Spena, Giusto Sucato, Ilia Tufano hanno realizzato delle
opere in cui parole e scrittura stanno in equilibrio sul sottile filo
del sentire umano. Ogni quadro rappresenta un modo differente di adoperare
ed interpretare parole e segno.
Per Alfredo Rapetti la parola è suono. I suoi quadri sembrano
equalizzatori grafici che ripetono all’infinito la stessa sequenza
timbrica. Spartiti solcati da un’accavallarsi di note e pause,
in essi la vibrazione riempie ogni spazio trasportando lo spettatore
nella tradizione orale quando le parole non erano scritte ma tutto si
tramandava attraverso i cunti e le canzoni.
Del tutto differente è il modo di utilizzare le parole e la scrittura
in Franco Spena. Nei suoi dipinti le lettere si sovrappongono, si inseguono
dando origine a cascate sonore figlie della cultura contemporanea. Consumismo
verbale e cultura consumistica si compenetrano divenendo un’unica
cosa.
Di carattere sacro sono invece le opere di Tanina Cuccia e Filli Cusenza.
Nella prima il rimando ad una cultura ortodossa, rappresentato da immagini
“affioranti” da un passato secolare, è caratterizzato
dall’utilizzo di caratteri intellegibili. La scrittura è
al servizio dell’immagine e al contempo le dà nuova linfa
vitale. Nella seconda, invece, i segni grafici hanno il valore di alfabeti
millenari, antiche scritture mediterranee perse nel tempo, legame tra
un cielo e una terra ormai lontani di cui non ci sentiamo più
parte. Una “Stele di Rosetta” cosmica fatta di segni ormai
silenziosi.
Di carattere simile sono le opere di Giuseppe della Ventura. I suoi
sono totem preziosi in cui la sacralità dell’oro impreziosisce
scritture antiche, geroglifici familiari. Il fenicio convive con l’ebraico,
l’arabo con l’italiano. Le sue steli bidimensionali accolgono
sequenze numeriche si accompagnano a messaggi scritti per attraversare
i secoli.
Di carattere differente è il lavoro di Giuseppina Riggi. Le sue
sono le parole non dette, le frasi di un corpo in continua tensione,
fatto di slanci appassionati e curve sinuose. Il suo è un alfabeto
sensibile, forma grafica di un linguaggio segreto desideroso di essere
decriptato.
Riflessioni, frasi, il segno grafico in Franco Nocera ritorna ad avere
un significato, ad assumere il senso di parola. La poesia è un
elemento molto importante nella produzione di questo artista. Il quadro
riflette lo stato d’animo delle parole in una sinergia di emozioni
che concorrono a scuotere e pensare.
Parola come meditazione per Giovanni Iudice. I suoi personaggi vivono
di inquietudini. La contemporaneità è il quotidiano e
questo è carico di universalità. L’uomo con i suoi
drammi attraversa spazi fisici e mentali. Una finestra aperta sul nostro
mondo carico di contraddizioni e illusioni.
Parola scardinata e sezionata, invece, per Salvatore Pizzo. La sua scrittura
è sospesa, ricomposta come un collage; anche le sue immagini
sono sospese, disgregate. Lunghe pause di silenzio attraversano le sue
opere. Icone patinate divengono altro, si fanno portatrici di messaggi
nuovi e riflessioni profonde.
Con Ilia Tufano la parola si riappropria del suo spazio. I suoi sono
libri d’artista. Ogni opera è significante e significato
al tempo stesso. La semiotica è la base su cui poggia l’intero
suo lavoro.
Ora lievi ora graffianti, i segni si muovono sulla superficie “contaminandola”
e donandole nuova linfa vitale.
Visione differente è quella di Enzo Patti. I suoi sono libri
oggetto in cui convivono pittura e scrittura. Parole lievi fluttuano
nell’aria divenendo immagine. Da sempre compagna della sua vita,
la scrittura segue ogni variazione di pensiero, ogni piega dell’anima
e volge la pittura al suo servizio.
Altro tipo di libro è quello di Giusto Sucato. Nei suoi lavori,
testi antichi si mescolano a nuove scritture arabeggianti. Le sue sembrano
formule magiche con le quali accedere a portali temporali. Pagine aperte,
castoni cartacei di memorie passate.
“Visitare la parola” è una mostra dai molteplici
sguardi. Ogni sguardo un senso ed ogni senso un significato simile ma
profondamente differente.
Isola delle femmine, 14 giugno 2012
Vinny Scorsone
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