GALLERIA D'ARTE STUDIO 71
 

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I VIZI CAPITALI

 

ANTONELLA AFFRONTI

Galleria Studio 71 Palermo
Dal 18 marzo all'8 aprile 2023


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ANTONELLA AFFRONTI

In mostra opere di sette autori contemporanei, uno per ogni vizio capitale, i quali hanno realizzato il loro lavoro attraverso le tecniche a loro congeniali. Scrive Vinny Scorsone, curatrice della mostra:  …”Il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è si è lentamente assottigliato e il solco nella nostra coscienza, che faceva da spartiacque, è stato riempito dalla nostra benevolenza verso noi stessi. Tutto è concesso, tutto è divenuto normale. I tempi si solo evoluti e noi non siamo più gli stessi. Ogni paletto, piantato con tanta fatica, è stato estirpato. Ma siamo sicuri che ci siamo evoluti?  O sarebbe più giusto parlare di involuzione?  In una società in cui ogni cosa è portata all’eccesso, il concetto di virtù, proposto da Aristotele nella sua opera “Etica Nicomachea”, perde il suo posto predominante, così come l’antico adagio latino “In medio stat virtus” (da essa derivante) sembra, per molti, non avere più senso. Perché limitarsi? Perché rinunciare a ciò che ci fa star fugacemente bene? Oggi, difatti, si tende a prediligere tanti brevi attimi di piacere illusori invece che l’appagamento duraturo derivante da un lungo percorso interiore….”. Bisogna dire, infine, che gli artisti: Antonella Affronti, Alessandro Bronzini, Elio Corrao, Pina D’Agostino, Franco Nocera, Gery Scalzo e Tiziana Viola-Massa hanno realizzato due opere ciascuno relative al vizio loro assegnato   fornendo un interessantissimo e forte motivo di discussione e riflessione  sui mali della società odierna.  La mostra sarà visitabile tutti i giorni, esclusi i festivi, fino all’8 aprile 2023 con orari 10:00/12:00 e 16:30/18:30. 
Catalogo con testo di Vinny Scorsone.

 

IL CONFINE

Nel mio sogno, sette gradini discesi e sette volte mi fermai, quasi avessi spire a frenare le mie gambe. Nella mente, sussurri incessanti mi avevano tolto ogni certezza, così il mio incedere procedeva lento.
Sette gradini discesi, ricordo, ed ognuno mi segnò l’anima. Al primo gradino, la voce, che sentivo prima sussurrare in modo confuso, si era fatta più nitida e mi parlava di me e della pochezza altrui. Sentii il mio sguardo cambiarsi. La mia bocca si era piegata in un ghigno e la mia fronte si era aggrottata. Dovevo andar via da quelle spire. A fatica, e stranamente con dispiacere, continuai a scendere. Il secondo gradino mise in subbuglio il mio petto. “Ascolta”, mi diceva la voce, “arraffa tutto poiché tutto ti toglieranno!”. Un senso di mancanza e di brama si era impossessato di me. La paura di perdere ogni cosa mi aveva attanagliato i pensieri generando paure infondate. Odiavo quel sentimento: dovevo fuggire via. Cercai di muovermi, di continuare la mia discesa. Non avevo neanche toccato il terzo gradino, quando una lingua di fuoco mi pervase le gambe salendo tra le cosce. Chiusi gli occhi mentre la testa cominciava a vorticare in un amplesso liberatorio. Non avrei voluto più procedere, poi, però, un altro sentimento mi spinse ancora più giù.
“Vieni qua, non temere, penso io a te”. Dal quarto gradino, la solita voce mormorava frasi acri riguardo la gente. Inaspettatamente quelle parole fecero breccia su una parte di me, tanto che avrei voluto che ciò che era d’altri fosse mio. Mi sentii il viso deformato da una smorfia. Mi ero corrucciata, incattivita, poi, dal quinto gradino arrivarono effluvi deliziosi e la mia espressione si distese. Poggiai subito i piedi in quella soglia che tanto mi attraeva. Finalmente avevo tutto ciò che volevo, ma non mi bastava così la voce mi bisbigliò di passare oltre.
Terribile fu la sensazione che provai toccando il sesto gradino. Mi sentii defraudata, imbrogliata. Ogni cosa mi era stata tolta e il fuoco, che prima si era insinuato tra le mie gambe, era arrivato dentro la mia testa mentre l’odio si era impossessato di me. Cosa mi era successo? Come potevo essere cambiata così tanto?
Provai a fuggire, ma al settimo gradino crollai. Ogni cosa avuta, ogni cosa fatta aveva, a quel punto del mio percorso, perso importanza: volevo solamente sprofondare nel nulla lasciando il mondo ad aspettarmi.
Riaprii gli occhi, lasciandomi consolare dalla tiepida luce del mattino. Mi ero ridestata dall’incubo per scoprire, in realtà, di esserci ancora dentro.

Non è semplice realizzare oggi una mostra sui sette vizi capitali e non lo è soprattutto perché, oggi, ogni vizio è stato tramutato, dalla maggior parte della gente, in virtù.
Il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è si è lentamente assottigliato e il solco nella nostra coscienza, che faceva da spartiacque, è stato riempito dalla nostra benevolenza verso noi stessi. Tutto è concesso, tutto è divenuto normale. I tempi si solo evoluti e noi non siamo più gli stessi. Ogni paletto, piantato con tanta fatica, è stato estirpato. Ma siamo sicuri che ci siamo evoluti? O sarebbe più giusto parlare di involuzione?
In una società in cui ogni cosa è portata all’eccesso, il concetto di virtù, proposto da Aristotele nella sua opera “Etica Nicomachea”, perde il suo posto predominante, così come l’antico adagio latino “In medio stat virtus” (da essa derivante) sembra, per molti, non avere più senso. Perché limitarsi? Perché rinunciare a ciò che ci fa star fugacemente bene? Oggi, difatti, si tende a prediligere tanti brevi attimi di piacere illusori invece che l’appagamento duraturo derivante da un lungo percorso interiore. Non c’è più una visione ampia che ci spinge a lavorare e comportarci rettamente nei confronti dell’altro in previsione di un tempo futuro; “tutto e subito” è il motto di quest’epoca. A quale scopo fare rinunce? Il “carpe diem” oraziano è stato falsato e corrotto generando un’anomalia concettuale che, lentamente, sta sgretolando la nostra società.
Nel corso dei secoli, infatti, vari filosofi hanno dibattuto sui concetti di virtù e vizi traendone, spesso, conclusioni riguardanti gli effetti ben precisi che essi hanno avuto all’interno delle società e sul grado di evoluzione e benessere spirituale e fisico raggiunto dai popoli che da essi si sono o non si sono lasciati guidare. A partire dall’illuminismo, poi, il confine di cui parlavo all’inizio, è stato man mano messo a dura prova. Molte brecce sono state aperte in esso e il concetto stesso di vizio si è mutato. Ciò che prima era una scelta consapevole e volontaria dell’animo umano e soprattutto della coscienza individuale (che spesso, se non tenuta a freno, sfociava nel peccato), è divenuto, nel tempo, patologia, parte integrante di noi stessi dal quale non possiamo esimerci. In questo modo, quindi, peccati e vizi hanno finito per collimare giustificando ogni nostro comportamento.
In campo artistico, le rappresentazioni riguardanti i vizi capitali hanno sempre fatto parte dell’immaginario visivo di più popoli, spesso in contrapposizione alle virtù. I cicli pittorici ad essi dedicati li descrivono, visivamente, come “sentimenti” che deturpano la bellezza della specie umana. “La calunnia” di Botticelli alla Galleria degli Uffizi di Firenze, l’allegoria de “il buono e il cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena, le allegorie dei vizi dipinte da Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova, “l’iconologia” pubblicata da Cesare Ripa, le visioni di Hieronymus Bosch e poi ancora Bruegel il vecchio e altri pittori fiamminghi, Andrea Mantegna, Marc Chagall, Otto Dix, James Ensor sono solo piccolissimi esempi di come tanti artisti si siano approcciati al tema nel corso dei secoli.
La mostra che presentiamo oggi, vede l’interpretazione dei 7 vizi capitali da parte di Antonella Affronti (Avarizia), Alessandro Bronzini (Superbia), Elio Corrao (Ira), Pina D’Agostino (Accidia), Gery Scalzo (Gola), Franco Nocera (Lussuria) e Tiziana Viola Massa (Invidia).
È decisamente interessante notare come i vizi siano stati approcciati in maniera differente e di come il famoso confine tra vizio e virtù sia stato mantenuto o intaccato.
Per Antonella Affronti, chiamata a rappresentare l’Avarizia, il vizio è deturpante. Nel suo dittico il rosso inonda ogni spazio e l’ingordigia danarosa deforma i corpi, le espressioni e il paesaggio circostante, mentre l’oscurità avvolge l’anima trascinandola in un antro profondo e senza via d’uscita. Non c’è spazio per il fraintendimento in queste opere e la virtù è ben lontana dallo spettacolo proposto. Il genere umano ha posto sull’altare un nuovo dio e di esso si pasce. Il potere, legato al malaffare, distrugge ogni capacità di giudizio e di umanità.
Proprio al confine tra virtù e vizio si pone l’opera di Alessandro Bronzini rappresentante la Superbia. L’artista si avvale, come immagine simbolo, del ritratto di Zelensky, l’attuale presidente dell’Ucraina, e si pone delle domande. Il dittico diventa così l’innesco di una bomba all’interno di una situazione politica molto delicata. In realtà il ricorso a dei fatti di cronaca molto vicini a noi serve a Bronzini per aprire una breccia nella coscienza civile. È giusto che nel nome di un ideale debbano morire migliaia di persone? Si tratta dell’ideale di un popolo o della brama di potere di un piccolo gruppo di uomini? E ancora… è superbia che spinge una nazione verso il baratro o è la virtù di un uomo che combatte per la libertà del suo popolo? La risposta a queste domande, qualunque sia il sentimento di partenza, è la desolazione e il dolore che ogni guerra lascia.
Nel dittico di Elio Corrao l’Ira è senz’altro un vizio dal quale tenersi lontani. “Ordo ab chao”, il motto massone che tende a riportare “ordine dal caos”, è quasi un monito che spinge lo spettatore a porsi domande. In un “caos” contemporaneo, difatti, fatto di rabbia e odio (diffusi soprattutto attraverso i social network) in cui ogni sentimento e ogni ordine sociale viene contorto e piegato al volere di alcuni, il motto massone si spezza ambiguo (di che tipo di ordine si tratta?) tra le due tele (quasi queste fossero opera di uno street artist), mentre i pigmenti viaggiano liberi sulla superficie. Intanto, dal fondo color ardesia, emergono tratti antropomorfi che inquietano la vista.
L’Accidia (uno dei vizi più diffusi nella nostra società, anche tra chi pensa di non peccare) è il tema trattato da Pina D’Agostino. Anche in questo caso il vizio è vizio. Le sue donne riposano mollemente, ma non c’è pace nei loro volti. Esse sono divenute aride, senza sentimenti, svuotate della loro stessa anima. Il mondo che ruota loro attorno è colpevole della condizione in cui queste sono sprofondate poiché le ha rese prive d’identità. Non una reazione le pervade al contrario i loro corpi sono tormentati, segnati, perduti nell’andare quotidiano, inghiottite dal verde della malattia.
Di ben altro genere è invece il vizio della “Gola” interpretato da Gery Scalzo. Nei suoi due dipinti vi è un tripudio di colori (ricordiamo che il colore arancione è associato a questo vizio) ed energia: un’onda di piacere dei sensi. L’iniziale gioia visiva però è presto interrotta. Sulla tela, mani e gola divorano qualunque cosa presente sul nostro pianeta. Il nostro piacere corporale legato al cibo porta dunque la Terra ad un lento impoverimento. Esseri viventi, piante, suolo, sorgenti sono sfruttati dall’uomo per suo uso e diletto in maniera indiscriminata. Quella di Scalzo è una protesta che riguarda non solo il cibo, ma anche l’ambiente. In uno dei due dipinti inoltre egli ci ricorda che, volendo semplificare e togliendo il valore simbolico che esso ha, proprio il vizio della gola (Eva e Adamo si cibano del frutto proibito) portò la diffusione del peccato nel mondo.
Ben altro approccio è invece quello che ha Franco Nocera con il peccato della Lussuria.
Le sue donne sono dee pagane, generatrici di nuova forza poiché da sempre il sesso muove il mondo e permette ad esso di andare avanti, di rigenerarsi. In questo modo vizio e virtù combaciano. La lussuria non è legata alla perversione o alla violenza bensì è un gioco erotico che si sviluppa all’interno di una relazione. I colori sono accesi e trattati come materia viva fecondante. Il blu, colore simbolo di questo vizio, si associa ad altri colori vividi, quasi chiamando a raccolta tutti i sensi, dando vita ad opere forti, intense e carnali.
L’Invidia è l’ultimo vizio trattato. Per Tiziana Viola Massa esso è uno dei vizi dal quale tenersi ben lontani. È subdolo, scava nelle viscere dell’animo umano mettendo popoli contro popoli, re contro re, uomini contro uomini; ottenebrando il raziocinio, incancrenendo l’anima. I cattivi consiglieri aprono le porte alla perfidia portandoci a modificare i nostri giudizi e i nostri sentimenti verso gli altri. Un vento emotivo caratterizza queste opere. In esse non c’è piacere bensì solo livore. Anche in questo caso (come in uno dei dipinti di Pina D’Agostino), il cuore viene stretto, imprigionato non permettendoci più di amare e di essere spiritualmente vivi.
La mostra “I sette vizi capitali” è un mezzo atto ad interrogarci, a prendere coscienza delle nostre debolezze, delle nostre sicurezze.
Ma noi, quindi, nel vortice del vivere sociale, quel confine di cui parlavo all’inizio del testo l’abbiamo superato o siamo riusciti a rimanere ancora dentro il solco del lecito? Cosa sono oggi i vizi? Regole obsolete o valori in cui ancora credere? Forse sarebbe meglio cominciare a porci delle domande e a guardare dentro la nostra anima.
Tra le opere esposte, sette vizi, sette autori si muovono e ci invitano a riflettere. Sette proprio come il numero della ricerca mistica, della scoperta di noi stessi e delle leggi che regolano il mondo.

                                                                                                                                      Vinny Scorsone

   

ALESSANDRO BRONZINI

ALESSANDRO BRONZINI

   

ELIO CORRAO

ELIO CORRAO

   

PINA D'AGOSTINO

PINA D'AGOSTINO

   

FRANCO NOCERA

FRANCO NOCERA

   

GERY SCALZO

GERY SCALZO

   

TIZIANA VIOLA MASSA

TIZIANA VIOLA MASSA

     

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