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Ignazio Apolloni
v

Racconti cinematici
e cinematografici

Edizioni Arianna, Geraci Siculo, 2013 pp.336

 

 

 

RECENSIONI E INTERVENTI

Francesco Aprile

 
 

 

Ci sono diversi modi di scrivere delle storie. Il paradigma è costituito da due estremi: realismo e fantastico. All’interno di essi ci si può sbizzarrire come si vuole. Molte sono le forme e i generi. La diversificazione ha moltiplicato la produzione ed allo stesso tempo ha reso tutto evanescente. Ognuno annaspa all’interno dell’arcipelago tentando di salire su uno degli atolli dal quale osservare meglio il mondo interiore. A scalata completata scopre soltanto di essere più solo di prima in mezzo al mare.

Dovendo scegliere tra i due poli opposti – o qualcosa che fosse più vicino all’uno o all’altro – la mia preferenza si è andata sempre più indirizzando verso ciò che non esiste. La pretesa di alcuni scrittori di vedere trasformata in meglio la realtà attraverso la letteratura è andata scemando fino alla sua totale scomparsa. Ormai si è convinti che la Storia si muove secondo sue coordinate aleatorie sicché gli uomini di pensiero poco o nulla possano fare per modificarla. Non resta dunque che parlarne da storici o in modo romanzesco: col solo intento di razionalizzare fenomeni sfuggenti alla comprensione nel momento in cui si manifestano.

Dunque il fantastico come mantello della creatività. Dalla congiunzione tra questi due astri sono nati i poemi, le fiabe, le favole, i romanzi di avventura, quelli picareschi, la fantascienza: e cioè i capolavori dell’immaginario se si pensi a Omero, Dante, Grimm, Andersen, Jules Verne, Cervantes, Azimov ecc… Muovendomi più facilmente in questi territori che altrove sono passato gradualmente dalle Favole per adulti al Lavoro poetico suuna locuzione avverbiale per quindi approdare al romanzo onirico, introspettivo, metapsichico con Gilberte. A completare il panorama sempre più caratterizzato dal fantastico stanno i Racconti patafisici e pantagruelici; quelli dal titolo New York allucinogeni e merletti; Il golfino celeste a maglie larghe; ed ora questi.

Al fine di modellare l’universo astrale nel quale preferibilmente mi colloco per osservare gli umani mi sono spesso servito delle opere di Italo Calvino, rinunciando pertanto a qualsiasi rapporto con quelle di Pasolini. Non nego alcune influenze determinanti: da Oliver Swift a Stevenson; da Marquez a Borges. L’ironia sottile di alcuni (penso al Memoriale del convento di Saramago) della quale ho fatto tesoro – che però mi è profondamente connaturata – è servita per togliere qualsiasi velleità di sapienza o saccenza alla mia scrittura: non disgiunta comunque da artifici linguistici che attingono le loro radici nelle opere di scrittori sperimentali come Queneau o Manganelli. È noto che per essere vivo un romanzo o un racconto deve scardinare la consuetudine altrimenti muore subito dopo la lettura. Di qui il mio sforzo controllato di mettere in discussione le regole del gioco.

 

 



 
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