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Ignazio Apolloni
v

DNA

Edizioni Arianna, Geraci Siculo, 2013.
Pp. 200

   

RECENSIONI E INTERVENTI

 

 
 

 


Gustav von Clausewitz è un principe austriaco della Carinzia che invece di dedicarsi alla carriera militare, com’è stato dei suoi antenati generali, sceglie gli studi di archeologia. Partecipa quindi a spedizioni di scavi in Mesopotamia finché opta per la ricerca scientifica individuando lo studio sul DNA come campo d’azione. Non avendo strumenti e conoscenze specifiche si occuperà di organizzare convegni per conto dell’Università di Berlino dove viene accolto su presentazione di un rettore e del suo pedigree.

Si appropria sempre più della tematica, frattanto però espande le sue conoscenze ad altri ambiti della scienza in atto: di carattere cosmologico sopratutto. Resterà quindi affascinato dalle recenti teorie ed esperimenti, non ultimo quello che ha confermato l’esattezza della previsione: la nascita della vita è da ricondursi al big bang, così confermandosi l’esistenza del bosone di Higgs.

Il Clausewitz, fino ad allora digiuno di arte, cinematografia, musica comincerà ad interessarsene con l’ausilio di Claire impiegata di una agenzia di viaggio che lo condurrà per mano in musei, sale da concerto, locali dove si proiettano film d’essai a partire dal cinema muto. In precedenza a fargli da accompagnatrice e da guida era stata Lotte, la segretaria personale assegnatagli dal dipartimento. È così che le sue certezze vengono aggredite sempre più spesso dal dubbio mentre sente svilupparsi il senso critico.

Ne faranno le spese tutte le categorie del pensiero ritenuto ottuso, refrattario, ancorato al pensiero unico quale quello di tutte le chiese: in ciò aiutato dai testi filosofici che si sono succeduti dall’illuminismo in poi, tra cui Cartesio.

Opera aperta, questo romanzo, come già lo fu Gilberte, edito dalla editrice Novecento nel 1997, e successive narrazioni: senza dunque il classico finale da happy end o storia conclusa, sia pure in chiave rosa, giallo o nero. Si interroghi perciò il lettore su quale possa essere il possibile finale. Si aggiunge semplicemente che il testo si compone di due parti: la prima, di squisita narrazione; la seconda, detta La storia dei re pigmei perché fece da stimolo, da pungolo a Gustav per abbandonare la ricerca del passato attraverso gli scavi in Mesopotamia e darsi piuttosto alla più veloce conoscenza del futuro, nel quale quasi tutte le narrative del mondo sono in ritardo.

 

 
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