Fu
allora che capii che una parte della mia vita se ne sarebbe andata
se non l'avessi messa immediatamente per iscritto. Soprattutto mi
premeva che a testimonianza di quel passato grigio per notturne elucubrazioni
e poi visioni mattutine non ci fossero soltanto le fotografie in bianco
e nero dei settimanali nazionali o dell'altra stampa periodica locale.
Nessuno infatti aveva pensato di occuparsi, nella letteratura, di
uno psico-dramma di un piccolo borghese partito da lontano e desideroso
di andare sempre più lontano, con al seguito un cestello di
memorie in cui aveva pensato bene di mettere figure di contorno, inesistenti.
Le figure di contorno, i personaggi "minimi", non potevano
che essere narrati con il linguaggio della quotidianità. Il
"minimalismo" (figura apologetica di ben altra corrente
del campo artistico) non poteva non mirare ad espressioni brevi, a
locuzioni apodittiche, ad aspirazioni ancestrali. Questa è
la sostanza delle cose di chi punta al benessere come bene supremo.
Il 1956 segnò il discrimine tra una religiosità morente
ed una nascente laicità: con la prima se ne andava uno spaccato
della nostra storia fatto di grandi idee e di nobili ideali; con la
seconda iniziava l'era del pragmatismo documentaristico. E' stato
a questo punto che ho sentito il bisogno di "documentare",
rinunciando però ad un facile pauperismo di maniera tanto quanto
all'imperante e fuorviante ingegneria linguistico-letteraria. Ed è
stata una fatica.