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Gilberte
è una ragazza di vaga ascendenza ebraica che il narratore (più
fotografo che scrittore) sta per lasciare definitivamente dopo anni
passati ad incantarsi l'uno dell'altra, e ad incantarsi entrambi di
Parigi. All'aeroporto di Orly sembrano attendersi per poi rifiutarsi.
Si ritroveranno ancora in America, lei nella veste di rappresentante
dell'alta finanza, lui nei panni di un esperto di metempsicosi. Continueranno
a cercarsi e a fare da co-protagonisti durante il viaggio che li porterà
in Palestina e nel Maghreb, con il vago senso di fascino che attrae
entrambi perché alla ricerca delle proprie origini stori-che
e metafisiche, o perché incuriosito dalla forza che promana dai
testi sacri. L'occasione servirà a lei per ritrovare la memoria
ancestrale e quelle più recenti della famiglia: dalla Russia
zarista alla Polonia tra le due guerre; mentre a lui fornirà
lo spunto per parlare della nascita dello Stato di Israele, con commossa
partecipazione. Nel suo periplo europeo — e particolarmente mediterraneo
— Gilberte evocherà le utopie e le illusioni di trovare
una patria qui da noi, per poi decidersi a ritornare là da dove
era partita. La seguirà, in questo suo viaggio a rebours il suo
creatore (il fotografo-narratore Montefeltro) con la curiosità
che si accompagna alle figure emblematiche e un tantino evanescenti.
Resterà irrisolto il nodo della maggiore consistenza di un ceppo
(quello ashkenazita) rispetto all'altro (quello sefardita) ma al lettore
non sfuggirà la propensione dell'autore — uomo del sud
— per la nebulosa che sempre più spesso si addensa nei
cicli della Palestina.
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